L'Italia è il terzo produttore al mondo di imballi di vetro per uso alimentare dopo Stati Uniti e Cina, per lo stesso motivo anche il riclico è un aspetto determinante per la nostra nazione.
«Grazie alla legge che 25 anni fa ha creato il sistema consortile in Italia, il nostro Paese è ormai da due-tre anni oltre i target di riciclo fissati dalla Ue per il 2030 – spiega Scotti -. Vale per tutti i materiali, ma limitandoci a quello del vetro, lo scorso anno abbiamo avviato al riciclo quasi 2,2 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggi in vetro, su circa 2,4 milioni conferite alla raccolta differenziata. E stiamo lavorando con Anci, l’Associazione dei Comuni italiani, per ridurre quelle circa 400mila tonnellate che, ancora oggi, finiscono purtroppo in discarica, attraverso un investimento di circa 10 milioni di euro a sostegno degli enti locali». Parole di Gianni Scotti, presidente di CoReVe.
Si tratta di quantitativi che in base alle normative UE, non vengono conteggiati nel determinare il tasso complessivo nazionale, che lo scorso anno si è perciò “fermato” al 76,6%, rimanendo comunque superiore all’obiettivo del 75% fissato dall’Unione europea."
«In Italia esiste un meccanismo di riutilizzo, ma è una questione particolarmente delicata – osserva Scotti – perché nel nostro Paese, come anche in Francia e in Spagna, il tema dell’iconicità dell’imballo è molto importante, a differenza che in altri Paesi. Prenda ad esempio la Germania, dove tutte le birre sono contenute in bottiglie di forme sostanzialmente identiche. Da noi basta uno sguardo agli scaffali di qualunque supermercato per accorgerci della varietà di forme e colori utilizzati per birre e acque minerali, ma anche per i vasetti a uso alimentare. È un tema rilevantissimo per le aziende, che fa parte anche di strategie di marketing ben precise e che dunque non sono disposte a rinunciare alla propria unicità».
«Nell’HoReCa è più semplice, perché ogni albergo, bar o ristorante ha un solo fornitore, o un numero limitato di fornitori, che consegna e porta via i prodotti in grandi quantitativi. Infatti, in questo ambito il riutilizzo è già ben implementato, con una quota del 96% per l’acqua minerale e del 27% della birra. Ma nei supermercati è molto complesso e comporterebbe costi aggiuntivi che, alla fine, temo, ricadrebbero come sempre sul consumatore finale.
Bisogna considerare che il vetro è un materiale che si presta al riutilizzo, ma che pesa molto e quindi richiederebbe tantissimi autotreni per il trasporto, con relative emissioni di CO2, senza contare l’utilizzo della risorsa acqua per disinfettare gli imballi e togliere le etichette». Con il rischio di compromettere i risultati che l’industria italiana del riciclo ha raggiunto anche in termini ecologici: l’attività dei consorziati CoReVe ha permesso, nel 2021, di risparmiare 3,9 milioni di tonnellate di materia prima, 412 milioni di metri cubi di gas, evitando inoltre l’emissione in atmosfera di 2,4 milioni di tonnellate di CO2. «La nostra filiera funziona molto bene, siamo tra i migliori in Europa: perché fare una norma che compromette tutto il sistema?» si chiede Scotti. Che aggiunge:
«Dobbiamo muoverci in maniera concertata con i Paesi europei che condividono la nostra visione, come Francia e Spagna, per ottenere le modifiche necessarie».
Fonte: intervista ilsole24ore